Un significato molto speciale
Da millenni in Sicilia si trova una razza canina unica al mondo, tanto speciale che un dio dell’antichità la scelse come guardia del suo tempio. Corpo allungato e snello, orecchie ritte, muso a punta e portamento fiero.
Stiamo parlando del cirneco dell’Etna, le cui origini si perdono tra storia e leggende. Alcune teorie ipotizzano la presenza del cirneco nell’antico Egitto, dove sono stati rinvenuti bassorilievi e disegni di cani molto simili a quello alle pendici del vulcano. Alcuni lo fanno addirittura discendere da Anubi, divinità egizia protettrice del mondo dei morti. Da qui il cirneco dell’Etna trae la sua etichetta di “cane dei faraoni”. Sarebbe stato portato in Sicilia dai Fenici, che avrebbero utilizzato il cane originario della valle d’Egitto come oggetto di scambio pregiato. Altri infine riconoscono gli antenati egizi del Cirneco, ma sostengono un’origine autoctona della razza siciliana. Raffigurazioni di questo cane dal profilo agile e dalle orecchie a punta, infatti, si trovano nella Villa del Casale di Piazza Armerina, ma soprattutto nella monetazione siciliana tra V e III secolo a.C. Monete con l’effige del Cirneco sono state rinvenute in tutta la Sicilia, ma le più antiche si trovano ad Adrano.
È qui che storia e leggenda si incontrano e si fondono in un’unica narrazione dai contorni misteriosi. Il nome stesso della città di Adrano sarebbe legato a un’antica divinità sicula un tempo adorata in tutta la Sicilia. Il suo nome deriverebbe dal dio Ador degli Assiri e sarebbe assimilabile a Efesto per i greci e Vulcano per i latini.
Un fabbro, dunque, che nelle profondità del vulcano aveva la sua fucina. Il dio Adrano e i cirnechi dell’Etna sono legati alla presenza di un antichissimo tempio, ormai perduto. Del tempio parla lo storico romano Claudio Eliano nel suo Sulla natura degli animali. Scritto nel II secolo d.C., il volume riporta a sua volta fatti risalenti all’VIII secolo a.C. qui leggiamo la più concreta testimonianza del legame tra il dio Adrano e il Cirneco dell’Etna, di cui i cani erano i servitori prediletti.
“Si trovano lì dei cani sacri, suoi servitori e ministri, che superano in bellezza e grandezza i cani molossi, e sono di numero non inferiore al migliaio. […] durante il giorno accolgono festosamente dimenando la coda i visitatori che si recano al santuario o al circostante boschetto sacro […], durante la notte accompagnano con grande benevolenza, a guisa di scorta, quelli già ubriachi e coloro che non si reggono in piedi lungo il cammino, riconducendoli ciascuno alla propria casa. Fanno però espiare il giusto castigo a coloro che nell’ubriachezza commettono empietà: difatti li assalgono e lacerano la loro veste, e a tal punto li fanno rinsavire. Ma sbranano in maniera crudelissima coloro che provano a rubare gli abiti altrui”.
La storia raccontata da Eliano attribuisce al dio e ai suoi servitori una funzione protettiva e di giudice. I cirnechi puniscono chi si macchia di un reato, aiutano ma insegnano una lezione agli ubriachi e sono affettuosi coi pii. Forse per l’influsso divino di Adrano, forse per la discendenza da Anubi, forse perché è pur sempre un cane da caccia, il cirneco è capace di fiutare i puri di cuore, cioè coloro che andavano al tempio per rendere tributo.
La Magna, D. (29 Maggio 2021). Cirneco dell’Etna, storia e leggende sul “cane dei faraoni”. LiveUniCT. Recuperato da: https://catania.liveuniversity.it/2021/05/29/cirneco-dell-etna-leggende/